Sin dalla prima volta in cui Joseph Lambert ha visto la faccia di Edmonde nel momento del piacere (con le narici contratte «come quelle di una morta», e il labbro superiore rialzato a scoprire i denti «in una smorfia di sofferenza che non somigliava per niente a un sorriso»), lei ha smesso di essere una efficiente, taciturna, un po’ stolida segretaria, ed è diventata la sua complice. Fra loro è nata un’intesa che non è né amore né passione, ma piuttosto la condivisione di un gioco segreto. E quando, una sera, guidando a zig-zag con la sinistra mentre tiene la destra tra le cosce di lei, Lambert sente dietro di sé il claxon disperato di un pullman e lo vede poi schiantarsi contro un muro, non pensa neppure a fermarsi. Si limita a gettare un’occhiata, nello specchietto retrovisore, all’immenso rogo che ha provocato. Poche ore dopo apprenderà che, di quei quarantasette bambini che tornavano dalle vacanze, una sola è sopravvissuta. Ma chi può sapere che è lui il colpevole? Colpevole di che cosa, oltretutto? E agli occhi di chi? Di suo fratello, un uomo così «saggio, equilibrato, immune da passioni pericolose»? O di sua moglie, che per via delle numerose «scappatelle» gli nega l’accesso al proprio letto? O degli amici con cui gioca a bridge la sera al caffè? Esseri mediocri, che lui disprezza. Come in fondo disprezza la sua stessa vita. Se proverà a sviare da sé i sospetti sarà solo per poter ritrovare, ancora una volta, Edmonde, per «scoprire in lei quello che aveva cercato a tentoni per tutta la vita».