SUL TAMBURO 1. - di Giuseppe Panella


 di Giuseppe Panella

Francesco Recami, Piccola enciclopedia delle ossessioni, Palermo, Sellerio, 2015

 

Dopo tante avventure più o meno divertenti e sicuramente ben congegnate degli inquilini che popolano avventurosamente la sua  “casa di ringhiera”, specchio vivente e un po’ contrastato di un microcosmo che il macrocosmo dell’Italia di oggi, Recami ritorna alla sua attitudine più convinta e convincente: quella della “critica di costume” (per dirla poi, con un’espressione più colta, alla Kulturkritik). A farne le spese sono molti italiani e i loro tic, le loro convinzioni superficiali e/o profonde, il loro modo di atteggiarsi di fronte al mondo, le loro diete e i loro tempi di vita, la loro prosopopea e le loro mode culturali, il loro salutismo (la loro “ortoressia” fasulla e facilona) e il loro gusto dei paradossi. Ne viene fuori un ritratto agrodolce dell’Italia di oggi, fatto di piccoli gesti, di lunghe osservazioni, di errori ed omissioni, di cibo più esibito che mangiato e di una ricerca spasmodica di una vita lunga e goduta più nella fantasia che nella realtà quotidiana.

Il regesto che emerge da questo libro è quello delle mille potenzialità di errore che il vivere quotidiano può comportare, un catalogo di ciò che bisognerebbe evitare assolutamente, l’elenco dettagliato delle mille improntitudini che bisognerebbe evitare. Gli italiani si rivelano un popolo di maleducati, di cialtroni, di nevrotici, di ossessivi, di individui fasulli che sarebbe meglio evitare.

Eppure qualcosa, alla fine, di buono forse c’è, nonostante l’amaro in bocca che il riso sempre inevitabilmente lascia (come genialmente ha sostenuto Bergson in un suo saggio famosissimo).

C’è un rapporto (forse) ritrovato tra padre e figlio, nonostante la trombonaggine psicoanalitico-lacaniana d’accatto di Massimo Recalcati e le sue elucubrazioni su Il complesso di Telemaco (nel racconto “L’evaporazione del padre”); c’è il mare e il sole di Castiglioncello che resta splendida e godibile, nonostante la neghittosa spilorceria del gitante in attesa di importanti analisi mediche (“Una giornata a Castiglioncello”); c’è l’esplosione del mistero come epifania del Sacro, nonostante la cafonaggine dei committenti pugliesi e l’ingenua emulazione dell’aspirante copy writer che ha fiducia nel verbo di Lapo Elkann (“Personal belongings”, un racconto in cui le ragioni del lusso come modalità dell’esistenza viene letto attraverso la lente della sua origine proto-religiosa).

Ma il consuntivo non è né può essere positivo: alla fine, i protagonisti di queste “storie di ordinaria follia” sono sconfitti dalla loro personale ossessione, sono vittime di se stessi, sono travolti dal loro voler essere diversi dagli altri e riuscire a emulare chi li precede nella scala sociale.

E’ il caso del proprietario del gommone LOMAC che Alessandro De Marinis conduce ogni anno lungo la costa di Follonica e di cui è fiero al punto da sentirsi schiacciato, direi umiliato e offeso, dalla presenza di un SACS Stratos di dodici metri nella stessa zona in cui galleggia il suo (che misura soltanto dieci metri!). Nel racconto a lui dedicato, “Il gommone dominante”, la sua figura meschina di parvenu viene certamente ridicolizzata e messa in evidenza sotto un profilo negativo di indubbia rozzezza ma va detto che la sua “sofferenza” appare altrettanto indubbia e rilevata con accortezza dalla penna avvelenata al vetriolo di Recami.

Non a caso la storia (una delle più belle del libro) si intitola “Il gommone dominante” dove la criptocitazione da Mozart / Da Ponte (“sua passione dominante è la giovin principiante” del Don Giovanni) fa capire bene il taglio, il tono, il ritmo quasi musicale della messa in caricatura di una nevrosi accesa e fatale come quella del De Marinis.

Ma anche Enzo Carlo Giurlani (in “ECG con prova da sforzo” – dove l’acronimo del titolo rivela il nome del protagonista che a sua volta rimanda al vero nome originale di uno scrittore dal pseudonimo famoso – Giurlani era infatti il vero cognome di Aldo Palazzeschi) paga cara la sua devozione alle cure mediche che vorrebbe ricevere perché si sente insicuro circa la sua salute e che cerca di ottenere con affanno e con una certa insistenza che spiace molto ai suoi stessi medici curanti. Ma anche l’”Ortoressia” non paga e chi mangia troppo (così come mangia troppo poco, anche se cibi salutari e privi di grassi o con poche proteine presenti) rischia di perdere il rapporto necessario con la realtà e con quello che l’alimentazione può offrire in termini di gusto e di raffinato piacere). Al cibo e al suo godimento è dedicato anche un succulento passaggio del racconto “La cena estiva” che reca tra parentesi l’indicazione Doxa a indicarne il carattere di tranche de vie condita da luoghi comuni, stupidaggini e banalità ben assortite dall’autore.

In conclusione: Recami ritrova qui la sua vena più cattiva (quella di Prenditi cura di me, tanto per citare uno dei suoi romanzi più noti) e si rivela cronista e ricostruttore attento dei vizi (molti) e delle virtù (qualche) di un’umanità non tanto dolente quanto neghittosa e spavalda nella fiducia nella propria strapotente corsa verso il ridicolo e l’assurdità del vivere.

Ma lo fa con gli strumenti che gli sono più propri: l’ironia e il sarcasmo affilati di cui dispone da sempre e una capacità di osservazione della società italiana (e umana in generale, perché no?) e uno stile terso e rigoroso come una lama, in grado di tagliare nel vivo per far scoppiare il bubbone della vanità e della prosopopea gonfia e vacua del tempo presente in cui ci troviamo a sostare.

 

 

 

 



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