Parigi, aprile 1750. La città è in preda al panico: da qualche tempo si verificano misteriosi rapimenti di bambini.
In un condominio della città di Lucca, alla fine del ’900, avviene un episodio analogo: due bambini, improvvisamente, scompaiono.
Tutto ristagna, tutto è arido e atrofizzato in un microcosmo aggressivo e fatiscente, contraddistinto da provvisorietà e cinismo, popolato da personaggi privi di identità, intimoriti, incapaci di relazioni autentiche, prigionieri di forme di conoscenza parziali e contraddittorie.
Immobilizzata in una ciclica ripetitività, ogni cosa sembra avere esistenza simultanea: vita e morte finiscono per confondersi.
Alla densità dello stile, alla frammentarietà, allo stravolgimento farsesco contribuisce uno sperimentalismo linguistico che mescola gergo e riferimenti letterari, burocratichese e dialetto, essenzialità e dettagli.
Tra disgusto e compassione per le debolezze umane, una tensione dolorosa percorre tutto il romanzo, evocando il senso di artificiosità del reale: il presente come se fosse già passato.
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