Fabio Stassi, L’ultimo ballo di Charlot, Palermo, Sellerio, 2012; Come un respiro interrotto, Palermo, Sellerio, 201La narrazione come forma privilegiata della vita
di Giuseppe Panella
E’ strapotente nella scrittura di Fabio Stassi la tentazione della nostalgia, la sua volontà di fare del passato la chiave di volta su cui si può costruire la prospettiva del presente, il desiderio di rendere mediante un’affabulazione forte e rigorosa le atmosfere, i sogni, i desideri e le disillusioni di una generazione ancora non del tutto perduta. Il suo esordio narrativo (che gli fruttò il Premio Vittorini Opera Prima[1]) è stata una “storia di formazione” ambientata nella Sicilia degli Anni Cinquanta ancora provata, nel suo sforzo di rinascita e di crescita morale e civile, dalle conseguenze della strage di Portella delle Ginestre avvenuta nel primissimo dopoguerra. A Fumisteria sono seguiti in rapida successione, l’anno dopo, E’ finito il nostro Carnevale, ardita e funambolesca storia di taglio picaresco in cui si narra il furto della mitica Coppa Rimet (quella destinata al paese che avesse vinto per tre volte la Coppa del Mondo di calcio[2]) e poi nel 2008 La rivincita di Capablanca, vicenda romanzata con protagonista un mito mondiale del gioco degli scacchi, José Raúl Capablanca, scacchista cubano analfabeta ma imbattibile e dalla vita sentimentale piuttosto complicata[3]. Nel 2010 è, invece, il “dizionario dei personaggi di romanzo” Holden, Lolita, Zivago e gli altri. Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999)[4], un tentativo di sintetizzare in brevi ritratti di personaggi romanzeschi decenni di letture approfondite e pertinaci (Stassi si definisce “un pendolare della letteratura” visto che trascorre lunghi periodi in treno per raggiungere ogni giorno Roma, dove lavora presso la Biblioteca di Studi Orientali della Sapienza, partendo da Viterbo dove, invece, abita e che ha scritto gran parte dei suoi romanzi nelle carrozze ferroviarie che frequenta assiduamente). «Non ho mai confessato a nessuno, invece, come iniziò per davvero la mia carriera e tutte le storie che mi accingo a scrivere adesso, perché neppure tua madre[6], la mia Oona, se le sarebbe bevute. Non volevo sciupare il segreto più prezioso della mia esistenza, una specie di promessa infantile alla quale vorrei poter dire di essere rimasto in qualche modo fedele e che riscatta tutti i miei errori, e le mie contraddizioni, e il caos dei miei ricordi. Ma ormai sono abbastanza vecchio per infischiarmene della reputazione e di altri timori del genere. Alla mia età è facile confondersi. Come si fa, del resto, a credere di avere stretto la mano di Debussy o di Stravinskij, Rubinstein, Brecht, Gandhi, di avere giocato a tennis, in pantaloncini corti, con Ejzenštejn e con Buñuel, di essere stato ricevuto da re, principi e presidenti, e che Albert Einstein in persona scoppiasse in lacrime come un bambino davanti ai miei film ? La mia memoria è un guardaroba così inverosimile che non so più se quello che contiene l’ho vissuto realmente oppure l’ho sognato. Non ci può essere, per me, un confine chiaro tra tutte le cose che mi sono accadute e quelle che non ho smesso di inventare solo nella mia testa»[7]. L’ultimo ballo di Charlot non è certamente una biografia storica e neppure romanzata del grande attore britannico quanto un tentativo di ricostruirne lo spirito e le possibili proiezioni romanzesche a partire da alcuni momenti della sua vita. Ad esempio, nel romanzo di Stassi si parla a lungo del film Il circo del 1928 che, invece, non viene neppure nominato nell’autobiografia dell’attore inglese[8]. «Siamo ai titoli di coda, caro Christopher, e non posso che esserti grato per la tua funambolica pazienza se hai resistito sin qui a tutte queste chiacchiere. Per una volta non sono stato fedele al mio principio che ogni storia dovrebbe essere come un albero che si scuote e tutto quello che non serve si fa cadere a terra, lasciando solo l’essenziale. Questa lettera non è un film, e io volevo che sapessi tutto, anche le cose superflue, perché non mi ricordo più dove ho nascosto la verità. Sarebbe bello dissolversi con un ultimo abracadabra. Su un’aeronave, un treno o una mongolfiera. Ma in fondo sono contento di andarmene a cavalcioni solo delle mie parole. Dicono che l’universo sia nato da una grande e incomprensibile esplosione. Secondo me, deve essere successo sulla pista di un circo. Una donna volteggiava in aria e un uomo ne catturò il movimento in una scatola magica, e lo riprodusse all’infinito, fino a popolare di ombre la terra, e a riempirla di segatura, di risate, di lacrime. Non può che essere andata così, Christopher, perché solo nel disordine dell’amore ogni acrobazia è possibile. Ciao, tuo padre Charles»[9]. Come un respiro interrotto, invece, pubblicato due anni dopo, è, in realtà, tutto un altro libro, anche se conserva con il precedente l’aspirazione a ripercorrere, attraverso tagli narrativi folgoranti e spesso disorientanti rispetto alle pagine precedenti, una vita immaginaria di artista, in questo caso di cantante e di donna (Soledad Statera, figlia di un immigrato siciliano trapiantato a Roma e appartenente a un clan in cui convergono apporti che vengono dall’America Latina (Argentina, Uruguay) e dalla Tunisia con forti intrecci con quella dell’Albania e le sue diramazioni italiane, la cosiddetta cultura arbërëshe o greco-albanese[10]). «Finalmente Sole aprì la bocca, ma non cantò delle parole, all’inizio fu solo un filo di voce, appena un soffio, e su questo soffio si formarono dei vocalizzi, degli armonici attutiti e sommersi. A tutti parve che ci fosse qualcosa di stonato, le prime parole arrivarono con un imprecisabile ritardo, in levare, non in battere, e questo creò uno scompenso, un’aritmia, anch’io persi il tempo, sembrava una sgrammaticatura, una sospensione di ogni misura, come se tutto potesse girare in un altro verso. Qualcosa di simile l’avevo già sentita in certi dischi di jazz, quando ci suonavo dietro, ma non ne avevo mai fatto esperienza dal vivo, non avevo mai incontrato qualcuno che respirasse in quel modo. Chiusi gli occhi e avvertii nitidamente il suo odore. Per la prima volta dovevo seguire i passi di un altro, non ero più io a portare ma venivo portato, e tutto questo mi liberò di colpo dal peso della responsabilità che in parte mi aveva sempre dato la musica, mi contagiò un’euforia mai sperimentata prima, la stessa incredulità che dà sempre la bellezza quando ti assale di sorpresa»[11]. Ma quel respiro interrotto cui si alluderà in un altro episodio lancinante (quello del “concerto al buio”) ricorda, ma a rovescio, il “respiro ininterrotto” della Beat Generation e, in particolare, la “prosa spontanea” di Jack Kerouac in quello che è probabilmente il suo capolavoro, The Subterraneans. «Avevo ancora un aereo da perdere, un bicchiere mai riempito da ritrovare. E una storia che si poteva suonare soltanto sulla tastiera spezzata di un contrabbasso. Chissà, cambiare aria mi avrebbe fatto bene. Erano anni che non mi mettevo più in viaggio per andare alla tua ricerca. Sole, il mondo ha un ritmo in battere e noi in levare e io non lo so perché il sei non è nove[12]. Controllai l’orologio. Doveva essersi fermato nella notte perché segnava un’ora impossibile. Era finalmente troppo tardi per tutto»[13]. A differenza del precedente romanzo su Chaplin e l’America, qui è l’Italia ad essere la protagonista segreta del romanzo : un paese dilaniato e sconvolto da lotte, conflitti e insanabili contraddizioni ma sconvolgentemente bello come il “respiro interrotto” della protagonista di questa storia di amore, nostalgia e morte. [1] F. STASSI, Fumisteria, Messina, GBM Edizioni, 2006. [4] F. STASSI, Holden, Lolita, Zivago e gli altri. Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999), Roma, Minimum Fax, 2010. [5] Si tratta dell’aneddoto che è al centro di una magnifica novella del 1829 di Prosper Merimée intitolata Federigo e che è fondata su un espediente narrativo analogo (tale testo narrativo fu poi ripubblicato dallo scrittore parigino nella raccolta Mosaïque del 1833). [6] Nel romanzo si finge che Chaplin stia scrivendo una lunga lettera (di cui consisterà poi l’intero libro di Stassi) proprio al suo ultimo nato, il piccolo Christopher, per illustrargli la sua storia di uomo e di artista.. [8] C. S. CHAPLIN, La mia autobiografia, trad. it. di V. Mantovani, Milano, Rizzoli, 19932. L’omissione del film – probabilmente uno dei più belli del regista-attore – è probabilmente legata al pessimo ricordo che egli aveva di quel periodo, legato com’era al complesso e turbolento divorzio con la seconda moglie Lita Grey. [10] A un tale contesto, anzi groviglio, culturale e umano che ne ha segnato profondamente l’approccio culturale e anche quello umano, appartiene lo stesso scrittore. [12] Matteo allude a un biglietto lasciato in una camera d’albergo a Kalamet, in Sicilia, in cui Sole si pone questa domanda “Perché 6 non è 9?” proprio prima di scomparire. |