Il ballo
di Paolo Vannini
Il ballo, di Irene Nemirovsky, edito a Parigi nel 1930 e pubblicato in italiano da Adelphi nel 2005, è un racconto breve ma di rara bellezza, profondità e intensità, dotato dei caratteri della fiaba.
Il tema è la rivalità distruttiva della madre verso la figlia, come avviene nella fiaba di Biancaneve.
La madre, nel racconto, è la strega, come in Biancaneve, o matrigna, come in Cenerentola, a cui lo scritto rimanda anche per il tema stesso del ballo.
La madre vuol dare il ballo. Il ballo è il fallo della madre, lo strumento per esibire il suo potere. Potere sociale, per dimostrare il suo diritto di appartenere alle famiglie d’elite, da un lato, e potere seduttivo, perchè vuol essere la donna più ammirata e conquistare l’amante principe azzurro, dall’altro.
Ma perchè Antoinette, la figlia, viene umiliata e tenuta fuori dal ballo come Cenerentola? Il libro dice che, quando la bambina era piccola, la madre era tenera con lei. Ma dopo, quando la figlia cresce, e soprattutto quando diventa adolescente, la madre si trasforma in una strega. Perchè?
Evidentemente perchè ha paura della figlia e teme che diventi grande, tanto è vero che cerca di arrestarne la crescita e di farla rimanere bambina. Ma come può avvenire che un genitore non sia contento della crescita del proprio figlio ma se ne senta minacciato? Chi è il genitore che ha questa paura? Ecco questo è il genitore narcisistico. In questo caso si tratta della madre, la quale pensa: se lei cresce io invecchio. Qui la madre diventa gelosa della figlia, più giovane e più bella, che le toglie lo scettro di più bella del reame. La paura è quella di essere superata, che la figlia possa eccellere su di lei, brillare così tanto da oscurare il suo sole. La madre non vede più la figlia ma vede in lei soltanto la rivale. La madre narcisistica è vanitosa e, dominata dalla vanità, si rifiuta di passare il testimone. In questo modo diventa distruttiva e distrugge la figlia, se stessa e il loro rapporto, rendendo la vita intollerabile a entrambe.
E’ chiaro poi che, dietro questo atteggiamento, non c’è forza ma fragilità, insicurezza, paura, sentimento d’inferiorità. Ma quando un genitore non accetta di invecchiare, e di lasciare il posto al figlio, l’esito è tragico. In questo caso però, per fortuna, l’esito tragico è sventato grazie alla figlia.
La figlia compie il gesto, butta via gli inviti. Esclusa dal ballo, con quest’azione trova il suo modo di entrare prepotentemente in ballo, in maniera plateale. E fa ballare tutti.
Qual è il significato di quel gesto? Questa è la domanda fondamentale e il senso del libro sta tutto nella risposta che si dà a questa domanda. A prima vista la risposta sembra ovvia e porta a dire che quel gesto, che imprime una sterzata agli avvenimenti dando loro un movimento del tutto nuovo, ha il senso di esprimere il risentimento della figlia maltrattata, come si sostiene senz’altro anche nella quarta di copertina del libro: con quel gesto, dal significato simbolico, Cenerentola, ogni Cenerentola, si vendica di ogni matrigna.
Io propongo invece un punto di vista diverso, di vederlo cioè non come un gesto di vendetta ma come gesto d’amore.
Difatti con questo gesto la figlia spezza il gioco della madre, impedisce il disegno della vanità, difende se stessa perchè rompe il progetto della madre di non farla crescere. Difende la crescita di tutte e due, sua e della madre. Se avesse subito, avrebbe rafforzato il suo odio, mentre con quel gesto l’odio si scioglie, ossia, profondamente, lei agisce così proprio per liberarsi dell’odio e della vendetta.
In realtà è un gesto d’amore per se stessa e anche per la madre. Un gesto che provoca un brusco cambiamento di rotta, una vera e propria inversione. Ci sono in esso coraggio, creatività, potenza salvifica. Con quel gesto la figlia salva se stessa, la madre e il loro rapporto. Se non l’avesse fatto si sarebbe tenuta il rancore, e sarebbe rimasta bambina. Facendolo, accetta la crescita, cioè la morte, la fine di se stessa bambina e della situazione in cui si trovava. Gettando via gli inviti, in realtà getta via il suo rancore e la sua impotenza. Così Antoinette si apre a una visione diversa, si permette di aprire al proprio interno porte affettive prima bloccate dal rancore, si apre cioè alla comprensione. Adesso vede cosa c’è dietro la strega apparentemente così potente, ossia paura, fragilità, solitudine. Lei si sente Cenerentola ma adesso capisce che anche la madre è Cenerentola e così la vede più simile a se stessa e si sente meno sola.
In questo modo nasce un incontro, un abbraccio, una solidarietà, un affetto, un cambiamento, il bisogno di dare un senso superiore alla vita, conseguendo maggiore consapevolezza e maturità. Succede che, quando la madre è bambina, tocchi alla figlia aiutarla, educarla e farla crescere. Alla fine, nell’ultimo abbraccio, che è per loro, in realtà, il primo abbraccio, assistiamo a un tenero ribaltamento dei ruoli: la figlia è diventata madre e la madre è diventata figlia. È fallito il falso ballo, il ballo delle vanità, ma Antoinette ha aperto le danze per il ballo vero, quello dell’affettività, e quello è riuscito, è riuscito proprio bene.