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(Milano 1893 - Roma 1973) scrittore italiano. La vita e le opere Nella città natale fece tutti i suoi studi, fino a quelli di ingegneria. Combattente nella prima guerra mondiale, fu fatto prigioniero e trasse da queste esperienze un Giornale di guerra e di prigionia, pubblicato più tardi (1955). Negli anni Venti svolse la professione di ingegnere, in Italia e all’estero, collaborando nel frattempo alla rivista fiorentina «Solaria», nelle cui edizioni pubblicò gran parte delle sue prime opere narrative: La Madonna dei filosofi (1931) e Il castello di Udine (1934). Da Milano, dov’era tornato a stabilirsi, si trasferì nel 1940 a Firenze, e qui risiedette quasi ininterrottamente fino al 1950. Visse da allora a Roma, dove lavorò per il terzo programma radiofonico fino al 1955. A partire dagli anni Quaranta G. venne pubblicando le opere che lo hanno imposto come una delle grandi personalità letterarie del Novecento italiano: L’Adalgisa. Disegni milanesi (1944), affresco satirico della borghesia meneghina agli inizi del secolo, corredato di note che svolgono un controcanto saggistico; Il primo libro delle favole (1952); Novelle dal ducato in fiamme (1953, premio Viareggio), grottesca rappresentazione dell’ultimo periodo fascista; Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957, ma già apparso su «Letteratura» nel 1946-47), un «giallo» ambientato nei primi anni del fascismo, tra satira e tragedia; i saggi, le note autobiografiche, le divagazioni, raccolte in I viaggi la morte (1958) e Le meraviglie d’Italia (1964, con sostanziali modifiche rispetto alla prima edizione del 1939); I racconti. Accoppiamenti giudiziosi 1924-58 (1963); La cognizione del dolore (1963, ma già pubblicato «a tratti» su «Letteratura», nel 1938-41), una storia sarcastica e disperata, sottilmente autobiografica, sullo sfondo di una Lombardia travestita da Sudamerica; Eros e Priapo: da furore a cenere (1967), un romanzo-saggio sul fascismo. Ha completato successivamente la bibliografia gaddiana (ricca di altre opere minori) la pubblicazione del primo romanzo scritto da G., La meccanica (1970) e di altri inediti dei suoi primi anni di attività letteraria (Novella seconda, 1971; Meditazione milanese, 1974; Romanzo italiano di ignoto del Novecento, 1983). L’arte sperimentale di Gadda G. ha profondamente rinnovato la narrativa italiana di questo secolo attraverso l’utilizzazione di geniali miscugli di dialetti, gerghi, tecnicismi e linguaggi diversi, e un continuo, imprevedibile stravolgimento delle strutture romanzesche tradizionali. Nutrito di cultura umanistica e scientifica e di ribollenti umori, di passione morale e civile e di un personale freudismo (tutti momenti di cui si sostanzia, fra l’altro, il suo odio contro il fascismo), di sarcasmo ma anche di pietà verso l’uomo, di private angosce e di intimo interesse per gli altri, G. si può considerare al tempo stesso un grande scrittore sperimentale e un classico. Suoi capolavori sono considerati Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore. Nel Pasticciaccio, servendosi di un genere popolare, il giallo, attraverso un prodigioso impasto linguistico e stilistico (con molti omaggi al romanesco di G.G. Belli), G., senza scegliere tra pietà e derisione, descrive uno spazio strapieno, zeppo di sgradevoli suoni e odori, di oltraggi esistenziali, di mattane storiche, di orrori biologici che si concentrano, «inopinate catastrofi», a orchestrare la follia. Una parola chiave in molte varianti percorre il romanzo: nodo, groppo, groviglio, gomitolo, gliuommero, ossia «pasticciaccio»: un garbuglio di cause che debilita la ragione del mondo. E G. non poteva scegliere metafora più adatta per indicare un efferato delitto, e un luogo più idoneo − per l’ambientazione − dell’urbe capitolina, dove il male oscuro si scenografa in una realtà demenziale e feroce: il fascismo, la morte, il lenocinio, il furto, le sozzure di bestie e di uomini.Composizione a struttura tematica, giocata su una complessa tastiera stilistica, ma nella quale predomina un acceso lirismo che si condensa infine nella figura materna, La cognizione è soprattutto una tragicommedia catartica. Autobiografia appena coperta dalle suggestioni grottesche di un immaginario paese latinoamericano che svela subito la toponomastica brianzola e la proiezione dell’autore nell’hidalgo Don Gonzalo Pirobutirro, l’opera è inoltre un’atroce e beffarda confessione mitica: nelle figure agoniche del reduce e della madre, il rapporto nevrotico diventa metafora universale di pena, «il male invisibile» che investe tutte le cose. Intriso di sarcasmo e dolore, il romanzo ha tuttavia la forza trascinante della liberazione, la capacità di ribaltare in poesia i rancori e le coazioni.